Primo esercizio
Una paginetta da un testo delle elementari

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Questo è un esercizio di traduzione di un brano scritto in coreano. La pagina riprodotta è presa da un testo di lingua della scuola elementare, primo anno, edito nel 1965. Si tratta di poche righe che analizzeremo in dettaglio.

I testi delle scuole elementari erano allora, come anche oggi, ampiamente illustrati e le figure rappresentavano situazioni note ai bambini. La pagina si presenta come appare a sinistra, dove sono disegnati due bambini con la loro mamma.

Si noti l’abito tradizionale indossato dalla mamma e i vestiti più occidentali indossati dai bambini. Tutti si siedono sul pavimento foderato di carta. I bambini stanno guardando le scarpe di gomma che il papà ha loro comprato: quelle del bambino hanno la punta arrotondata, mentre quelle della bambina sono a forma di barchetta, con la punta rivolta all’insù. Sia la madre che i figli sono senza scarpe perché le scarpe si lasciano fuori dalla stanza per non rovinare o sporcare il pavimento che deve essere tenuto sempre pulitissimo.

Il testo che illustra la scenetta è naturalmente semplicissimo e le parole nella stampa risultano molto spaziate fra loro, molto più di quanto sarebbe ritenuto normale in un libro non scolastico. L’andamento delle scritte è quello nostro, da sinistra a destra in righe orizzontali che si susseguono dall’alto in basso. Nei testi più antichi, invece, il testo veniva scritto partendo dall’alto, in righe verticali che si susseguivano da destra a sinistra.

Il metodo che seguiremo nell’analizzare il testo sarà eminentemente pratico. Non divagheremo, ma vedremo di capire come si scrive, come si legge e che cosa significa il brano, parola per parola. Non sarà una cosa rapidissima, ma, se vi armate di santa pazienza, vedrete che potrà risultare interessante. Per non restare troppo tempo davanti al computer, si può stampare questa pagina in modo da poterla studiare poi con comodo su carta.

Il metodo di scrittura usato in Corea è stato brevemente illustrato nella pagina precedente, quella sulla lingua, che si può raggiungere cliccando qui. L’elenco delle lettere dell’alfabeto coreano, con la pronuncia delle vocali principali, si può evidenziare in una finestra separata cliccando qui. Per vedere in una finestra separata la forma delle lettere coreane al momento della creazione dell’alfabeto (XV secolo) cliccare qui.

Iniziamo l’analisi


La prima riga

어머니가 새 옷을 만듭니다

어머니가
La prima sequenza di lettere che troviamo (어머니가) significa “la mamma” e si pronuncia ŏmŏniga. Si noti che il suono n seguito dalla i (e trascritto con ni) si pronuncia come il nostro gni di ogni e che l’accento è sull’ultima sillaba della sequenza. Ma vediamo singolarmente le varie sillabe.

La prima sillaba grafica (o raggruppamento sillabico) è composta dalla consonante , che è muta in posizione iniziale di sillaba grafica, seguita dalla vocale , che si pronuncia come una o aperta. Le vocali sono distinte in due categorie a seconda del loro aspetto grafico: orizzontali e verticali. La è chiaramente una vocale ad andamento verticale (è più alta che larga) e per questo motivo si scrive a destra della consonante (). Se fosse invece stata una vocale ad andamento orizzontale, si sarebbe scritta sotto la consonante.

La seconda sillaba grafica è composta dalla consonante (che si pronuncia m) seguita ancora dalla vocale . La pronuncia della sillaba è (con la o aperta). Anche in questo caso, come si vede, la vocale viene scritta alla destra della consonante.

La terza sillaba grafica è formata dalla consonante (che normalmente si pronuncia n, ma che viene pronunciata come gn se è seguita da i) e dalla vocale (che si pronuncia i). Anche questa vocale è ad andamento verticale, per cui si scrive alla destra della consonante ().

A questo punto abbiamo le prime tre sillabe (어머니 ŏmŏni) che formano la parola che significa “mamma”. Se pronunciata da sola questa parola suona in italiano come ŏmŏgnì, con l’accento sull’ultima sillaba (l’accento cade quasi sempre sull’ultima sillaba della parola o della frase).

Una piccola nota sulla trascrizione
Come avrete notato, per trascrivere la pronuncia delle parole coreane siamo costretti a usare i caratteri latini. In questi esercizi si usa per ora la trascrizione McCune-Reischauer, più usata in Occidente, ma in Corea oggi si usa una trascrizione particolare che evita l’uso di accenti o segni diacritici speciali. Per indicare il suono della lettera o aperta la tracrizione McCune-Reischauer usa una o con il segno della breve (ŏ), ma il nuovo sistema di trascrizione (o romanizzazione) adottato dalla Corea del Sud usa un digramma composto dalle due vocali eo.

La sillaba successiva è un suffisso che si pronuncia ka quando è isolato o è preceduto da una consonante sorda, ma che diventa ga quando è preceduto da una vocale (logicamente sonora) o da una consonante nasale. Nel caso che stiamo esaminando, quindi, tale suffisso, formato dalla consonante (k) e dalla vocale (a), si pronuncerà “ga”, come è fatto notare anche dalla trascrizione ŏmŏniga. Questo suffisso svolge un po’ la funzione del nominativo in latino, cioè indica qual è il soggetto della frase.

Tra parentesi si può precisare che tale suffisso viene usato per le parole che terminano in vocale. Quando terminano in consonante, il suffisso che svolge la stessa funzione diventa invece (pronunciato i ).

Si è detto che 어머니가 significa “mamma”, o meglio “la mamma”, e la presenza dell’articolo in italiano rappresenta un po’ l’enfasi che viene data alla parola dal suffisso (o posposizione) . In realtà la parola potrebbe anche significare “le mamme”, oppure “mamma”, “mamme” in quanto il plurale non segue le stesse regole dell’italiano e l’articolo non esiste in coreano.


Questa parola, pronunciata (con la e aperta, indicata nella trascrizione da sae) è formata dalla consonante (s sorda) e dalla vocale (ae). Significa “nuovo” (oppure “nuova”, “nuovi”, “nuove”): gli aggettivi (o, meglio, gli attributi come questo) in coreano sono invariabili e si posizionano prima del nome a cui si riferiscono.
La vocale è composta graficamente dalla (a) seguita dalla (i) e viene scritta così perché originariamente, quando fu inventato l’alfabeto nel XV secolo, rappresentava effettivamente un dittongo (ài).

옷을
Queste due sillabe grafiche rappresentano una parola () seguita da un suffisso ().

La sillaba grafica è composta dalla consonante iniziale (muta in posizione iniziale), dalla vocale intermedia (o chiusa) e dalla consonante finale (s). La vocale è ad andamento prevalentemente orizzontale (è più larga che alta) e per questo motivo viene scritta sotto la consonante iniziale. La consonante finale, quando è presente come in questo caso, viene sempre scritta sotto gli altri elementi della sillaba grafica.

Si noti come ogni sillaba grafica sia composta in modo da occupare lo spazio di un quadrato. Così, mentre nella sillaba la consonante iniziale veniva leggermente schiacciata verso sinistra dalla vocale verticale , nella sillaba viene schiacciata verso l’alto dalla vocale ad andamento orizzontale , la quale a sua volta viene anch’essa schiacciata verso l’alto dalla presenza della consonante finale perché tutti e tre gli elementi devono rientrare nel quadrato ideale che racchiude le sillabe della scrittura coreana. Altro esempio di questo fenomeno si nota nel caso della consonante che in veniva schiacciata a sinistra, mentre in viene schiacciata in basso.

La parola significa “vestito”, “abito” e si pronuncia ot quando è da sola o è seguita da consonante sorda (la s finale diventa una t implosiva), mentre si pronuncia os quando è seguita da una vocale (anche se questa è preceduta da una consonante iniziale muta), come nel caso di 옷을 (osŭl).

Nota sulla pronuncia
Si ricorda che una consonante viene definita “implosiva” quando “esplode dentro”, cioè “non esplode all’aperto”. Nella pronuncia della parola isolata, alla fine della parola la lingua resta per un momento incollata al palato e all’interno della gengiva superiore, chiudendo l’esplosione perché il suono della t non deve uscire.

La sillaba , formata dalle lettere (muta) (ŭ) e (che suona come la nostra elle in posizione finale quando non è seguita da vocale), ha il suono ŭl, dove la ŭ è una vocale che si pronuncia con le labbra tese (non protruse) ed è in qualche modo simile alla u (si ascolti la pronuncia cliccando qui). è un suffisso che indica ciò che è rappresentato dall’accusativo latino: la parola alla quale si unisce è il complemento oggetto. Questo suffisso dell’accusativo va bene solo per le parole che terminano in consonante. Quando le parole terminano in vocale, il suffisso da usare per indicare il complemento oggetto è invece (rŭl).

Altra nota sulla trascrizione
Poco fa abbiamo visto che la vocale si trascrive con ŏ nel sistema di trascrizione McCune-Reischauer, ma con eo nel sistema di romanizzazione adottato dal governo sudcoreano. La vocale presenta un problema simile in quanto, secondo il sistema McCune-Reishauer si trascrive con ŭ, mentre col sistema adottato dal governo sudcoreano si trascrive con eu. Una curiosità interessante è la trascrizione in caratteri latini del nome della capitale sudcoreana, che in italiano in questo sito trascriviamo come si usava un tempo, e cioè con Seul. In realtà il nome della capitale sudcoreana è in coreano 서울, che i coreani trascrivono in caratteri latini con Seoul, intendendo appunto eo come trascrizione della loro vocale e u come trascrizione della vocale . Il fatto curioso è che la trascrizione Seoul fu adottata dai francesi che trascrissero lo stesso suono del nostro Seul, dove e trascriveva la e ou la vocale che ha esattamente il suono della nostra u.

Fino a questo punto la frase significa quindi “la mamma (soggetto) i vestiti nuovi (oggetto)...”, ma ci manca ancora il verbo, presumibilmente transitivo, visto che c’è un complemento oggetto.

만듭니다
Ed ecco il verbo. Diremo subito che questo significa “fare” (o “costruire”) nell’accezione più vasta (qui “fare i vestiti”).

Consideriamo prima la scrittura. La prima sillaba, (man), è formata dalle lettere (m), (a) e (n), che sono scritte secondo le convenzioni già viste (la vocale ad andamento verticale posta alla destra della consonante iniziale, la consonante finale posta sotto le altre due lettere).

La seconda sillaba, (dŭp), è costituita dalle lettere (t), (ŭ) e (p). La consonante iniziale si pronuncia t quando è all’inizio di parola o è preceduta da consonante sorda, d quando è preceduta da vocale o da consonante nasale, e come una t implosiva quando si trova in posizione finale nella sillaba ed è seguita da pausa (ma, come si vedrà subito, la pronuncia delle consonanti in posizione finale non è per nulla semplice). La finale si pronuncia come una p implosiva quando non è seguita da altro o è seguita da una consonante non nasale, si pronuncia invece come m quando è seguita da una consonante nasale (come m o n) e si pronuncia b quando è seguita da vocale (quest’ultima eventualmente preceduta dalla consonante iniziale “” muta). Siccome in questo caso la sillaba precedente termina con una consonante nasale (e quindi sonora) e la sillaba seguente inizia anch’essa con una consonante nasale (), la sillaba in tale circostanza si pronuncerà dŭm.

La sillaba successiva, , l’abbiamo già vista in precedenza e sappiamo che si pronuncia come l’italiano gni.

La sillaba finale, , dovremmo già essere in grado di leggerla perché è formata da due lettere che abbiamo già visto: (t) e (a) che di solito danno la pronuncia ta. La pronuncia della t iniziale di questa sillaba, però, si sonorizza (cioè diventa d) perché è preceduta da una vocale (sonora). Questa sillaba, in tale posizione, si legge perciò da.

만듭니다 si pronuncia quindi, all’italiana, mandŭmgnidà (e viene trascritto mandŭmnida secondo la trascrizione McCune-Reischauer, ma mandeumnida secondo la romanizzazione sudcoreana).

Abbiamo detto che il verbo in questione significa “fare”. I dizionari italiani elencano i verbi all’infinito (come “fare”, ad esempio), mentre i dizionari coreani li elencano nella forma più semplice, che è in realtà un indicativo presente di livello basso. Questa forma semplice è costituita dalla “radice” del verbo seguita dalla sillaba .

La radice del verbo “fare” in coreano è 만들 (mandŭl). Come si vede, questa radice termina con la consonante , pronunciata come la nostra elle (l) in posizione finale, come erre (r, non rullante come la nostra r, ma monovibrante) in posizione intermedia fra confini sonori. Perché mai, allora, la lettera è scomparsa dalla parola 만듭니다?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo ancora considerare la terminazione verbale 읍니다 (ŭmnida), dove la (ŭ) iniziale è una vocale eufonica che si usa solo con le radici verbali che terminano per consonante. Questa è una terminazione verbale “rispettosa” dell’indicativo. Si usa per parlare con persone verso le quali si vuole dimostrare rispetto, o talvolta verso chi si vuole tenere a distanza. Non è una forma confidenziale. È la forma più deferente e perciò il libro delle elementari la insegna per prima.

Nella radice del verbo, in questo caso 만들, la lettera (ŭ) finale si fonde con la lettera (ŭ) iniziale della terminazione verbale rispettosa 읍니다 e la sostituisce la che è più debole. In sostanza, alla fine invece delle cinque sillabe fonetiche che ci si aspetterebbe (mandŭmnida), ne avremo solo quattro (mandŭmnida). La cosa è un pochino difficile da capire (in effetti si tratta di un verbo irregolare...) e probabilmente dovrete leggere questa spiegazione un paio di volte per rendervi conto dell’apparente anomalia.

Abbiamo ora (finalmente!) la lettura e la traduzione completa della prima riga (nella trascrizione le sillabe sottolineate sono quelle su cui cade l’accento).

Sintatticamente la struttura della frase, come si presenta qui, è: soggetto - oggetto - verbo. Il verbo, cioè, viene alla fine della frase, e questo è un fatto costante nella lingua coreana.

Si deve ammettere che non è stato facile arrivare fino a questo punto, ma forse ne è valsa la pena. Ora chi desidera terminare la traduzione di tutta la paginetta coreana, non deve fare altro che continuare a leggere.


La seconda riga

우리들의 옷입니다

Ora che siamo entrati nei dettagli della scrittura, della pronuncia, della grammatica e della sintassi di questa lingua, dalla seconda riga in avanti procederemo un poco più spediti.

우리들의
La seconda riga è abbastanza facile. Per capire quale sia la pronuncia di questa prima sequenza ci mancano solo un paio di lettere, la (pronunciata come la nostra u) e il dittongo (che si pronuncia normalmente come una e chiusa in posizione finale di parola, ma che diventa ŭi in posizione iniziale). La pronuncia di 우리들의 è quindi uridŭré, dove la ŭ è quella vocale particolare che bisogna sentir pronunciare da un coreano per poterla capire a fondo.

우리 si pronuncia dunque uri e significa noi. si pronuncia dŭl (con la consonante iniziale sonorizzata) quando è preceduto da vocale come in questo caso ed è il suffisso del plurale (ma si usa raramente e in modo diverso dal plurale italiano). abbiamo visto che si pronuncia in questo caso e ed è come la desinenza del genitivo latino, cioè del complemento di specificazione.

우리들의 significa quindi “di noi”, “nostro”, “nostra”, “nostri”, “nostre”. Qui vuol dire “nostri” perché la parola che segue cita i vestiti che la mamma sta facendo. Da notare la posizione del dittongo nella scrittura della sillaba grafica : essendo formato da una vocale ad andamento orizzontale () e da una ad andamento verticale (), viene scritto parte sotto e parte a destra della consonante iniziale (). Altra considerazione da fare è che il suffisso del plurale () in questo caso appare superfluo in quanto 우리 (uri) è già di per sé plurale (noi). (Ci sorge il sospetto che già nel 1965 (data di pubblicazione del manuale) cominciasse a nascere la voglia di “adeguarsi” alle lingue occidentali cominciando dall’uso del plurale, prima adottato raramente e in modo assai diverso da noi. Oggi, a oltre quarant’anni di distanza, l’uso del plurale è diffusissimo nel coreano parlato.)

옷입니다
La prima sillaba di questa sequenza è la parola che conosciamo già e che sappiamo che significa “vestito” o “vestiti”. Di 입니다 (imnida) che si pronuncia all’italiana imgnidà ne conosciamo già una parte, cioè la terminazione verbale ㅂ니다 che è la stessa di 읍니다 visto prima. Anche qui la terminazione ㅂ니다 rappresenta la deferenza con cui ci rivolgiamo a chi ci ascolta. , che viene prima della terminazione, è il suffisso del nominativo che si usa quando la parola a cui si riferisce termina con una consonante, in particolare dopo la (s) di . Quando la frase termina con questa terminazione, di solito l’accento non cade sull’ultima sillaba, ma sulla sillaba a cui questa si attacca.

La pronuncia e il significato della seconda riga saranno allora:

Qui però sorge il problema del verbo “essere” che da noi si usa (“Sono”) mentre nella frase coreana la copula praticamente non c’è. Anche gli studiosi coreani non sono tutti d’accordo su questo punto: alcuni dicono che il verbo essere come copula esiste e che è appunto questo (radice verbale) seguito da una terminazione verbale, altri dicono che non esiste. Secondo lo scrivente tale verbo (come “copula”) in passato non esisteva in coreano.


La terza riga

추석에 입을 것입니다

Questa riga non è molto difficile perché ormai conosciamo buona parte delle lettere che vi compaiono e qualche suffisso e terminazione verbale. Vediamo allora di spezzettarla e di analizzarla come abbiamo fatto per le altre righe.

추석에
Le lettere che ancora non conosciamo sono qui la consonante (ch’) pronunciata come una nostra ci con una forte aspirazione, e la vocale (e) pronunciata come una e chiusa. Graficamente la è composta dalla vocale seguita dalla vocale e originariamente (nel XV secolo) si pronunciava probabilmente come un dittongo (ŏi).

Siccome la consonante si pronuncia come la g di “ghetto” quando è preceduta e seguita da vocale, come in questo caso, la sequenza di lettere 추석에 (trascritta come ch’usŏge) viene pronunciata, con grafia all’italiana, ciusŏghé.

추석 (ch’usŏk) è la festa dell’autunno e ha la stessa importanza del nostro ferragosto. In proposito si veda la pagina La festività di Chusŏk.

Il suffisso finale (e) indica qui il complemento di tempo (come se si dicesse “a ferragosto”), ma viene anche usato per indicare il complemento di moto a luogo o quello di stato in luogo. Viene di solito tradotto in italiano con “a” (“vado a casa”, “sono a casa”, “a Pasqua”). Posto che Ch’usŏk è il nome della festa, 추석에 significa dunque “a Ch’usŏk”.

Una nota sulla trascrizione e sulla pronuncia
La consonante aspirata , che abbiamo visto trascritta come ch’ secondo il sistema McCune-Reischauer (dove l’aspirazione viene indicata con l’apostrofo), dal sistema di romanizzazione adottato dal governo sudcoreano viene resa semplicemente con ch, senza l’apostrofo. Si tenga inoltre presente che, mentre le occlusive non aspirate del coreano ( k/g, t/d, p/b) e l'affricata non aspirata ( ch/j) possono essere sorde o sonore a seconda della loro posizione nella parola, le corrispondenti occlusive aspirate ( k’, t’, p’) e l’affricata aspirata ( ch’) mantengono sempre il loro suono sordo e aspirato.

입을
La radice verbale (ip) significa “indossare”. La consonante finale si pronuncia b quando è preceduta e seguita da vocale, come in questo caso.

La sillaba successiva, , non è il suffisso del complemento oggetto che abbiamo visto nell’analisi della prima riga, ma è una desinenza verbale e precisamente la desinenza del participio futuro (in realtà la desinenza verbale del participio futuro è (pronunciata come una nostra elle) a cui è stata aggiunta una vocale iniziale (ŭ) eufonica da usare per le desinenze verbali che terminano per consonante.

입을 (ibŭl) quindi significa “che indosserò” o una qualsiasi delle altre voci: “che indosserai” ... “che indosseranno”. Qui significa “che indosseremo”.

La desinenza del participio futuro è quando la radice verbale termina in consonante, come in questo caso, ma, come si è appena accennato, diventa una semplice lettera (scritta in posizione finale di sillaba grafica) quando la radice verbale termina in vocale.

것입니다
Quest’ultima sequenza di lettere, 것입니다, è un’espressione tipicamente coreana. Viene trascritta con kŏsimnida e, all’italiana, si pronuncia kŏscimgnidà (perché la “ s” seguita da “ i” si pronuncia “sci”) e significa qualcosa come “è il fatto che”. Letteralmente significa “cosa”, “fatto”, ma viene spesso usato, come in questo caso, semplicemente per concludere il discorso.

La frase alla lettera significa “È il fatto che (li) indosseremo a Ch’usŏk”, dove il “li” (i vestiti) l’abbiamo aggiunto noi, ma potrebbe anche voler dire (un po’ forzatamente) “Sono cose che indosseremo a(lla festa di) Chusŏk”. In italiano, con riferimento ai vestiti che la mamma sta preparando, si può tradurre nel modo seguente:

Ci restano ancora due righe e poi avremo completato questa prima (pesantissima) lezione di linguistica coreana.


La quarta riga

아버지는 새 신을 샀읍니다

Ormai, se si sono memorizzati i concetti esposti prima, questa riga dovrebbe rivelarsi più facile da capire.

아버지는
Prima abbiamo visto come si dice “mamma” (어머니). Ora vediamo la parola che corrisponde a “papà”: 아버지 (trascritto con abŏji, ma pronunciato come se fosse scritto abŏgì, in italiano).

Una delle lettere che compaiono in questa sequenza non ci è ancora nota. Si tratta della (pronunciata c come in ci o g come in gi, nel primo modo quando è in posizione iniziale di parola o dopo consonante diversa da nasale, nel secondo modo negli altri casi).

Il suffisso (nŭn) può essere reso in italiano con il giro di parole “in quanto a...”, o “per quanto riguarda...”. È un suffisso che mette in evidenza una parola, ma non sempre si tratta del nominativo: in realtà potrebbe essere messa in evidenza anche una parola che, nella frase, avesse il ruolo di complemento oggetto.


Si tratta della stessa parola già vista prima, pronunciata sae, cioè (con una e aperta) all’italiana, che significa “nuovo”.

신을
La prima sillaba grafica è la parola (sin), che si pronuncia all’italiana scìn e significa “scarpe”. La (s) quando è seguita da (i) si pronuncia come l’italiano sci, come si è già accennato.

La seconda sillaba (ŭl), invece, è quella che abbiamo già visto nella prima riga con il significato di suffisso dell’accusativo.

신을 significa quindi “le scarpe” (complemento oggetto).

샀읍니다
La radice verbale (sa) significa “comprare”.

I due simboli di () che si trovano in basso nella prima sillaba formano una sola lettera che si pronuncia come una doppia s e che qui rappresenta il suffisso verbale del passato. L’uso di questo suffisso non è facilissimo in quanto, per parole con radice verbale terminante in consonante o con certe vocali (come ad esempio u), cambia seguendo quella che si chiama “armonia vocalica”, tipica delle lingue derivanti dal mongolo e un tempo ancora molto forte anche nel coreano. Oggi in coreano non restano che alcune tracce dell’armonia vocalica di un tempo. Di regola, dopo certe vocali dette “chiare” come (a) e (o), il suffisso diventa (ass), mentre dopo certe vocali dette “scure” come (ŏ), (u), (i) e (ŭ), diventa (ŏss). Quando la vocale finale della radice del verbo è oppure , il relativo suffisso ( o ) si fonde con la sillaba finale della radice e diventa quindi semplicemente , come in questo caso (사+았=샀)). Spesso, quando la sillaba finale della radice termina in vocale, ma tale vocale è diversa da o da , il suffisso si fonde con la vocale finale formando un dittongo, come ad esempio (wass) che deriva da (o, radice verbale di “venire”) più (ass), o (twŏss) che deriva da (tu, radice verbale di “mettere”) più (ŏss).

Il resto della sequenza di lettere (읍니다) l’abbiamo già analizzato prima.

샀읍니다 (sassŭmnida) significa quindi “ho comprato”, “hai comprato”... “hanno comprato”.

Il testo che stiamo esaminando è del 1965 e allora si usava scrivere la desinenza come è qui indicato (~읍니다). Ma la lingua cambia e oggi (2010) si scrive in un modo leggermente diverso. Anche se ci sembra logico che dopo una doppia s () non ci sia più bisogno di una terza s, oggi quella desinenza si scrive con la s iniziale, cioè come ~습니다, anche quando è preceduta da una o più s. Oggi, quindi, 샀읍니다 (sassŭmnida) si scrive 샀습니다 (sasssŭmnida) [e le tre s che abbiamo messo nella trascrizione vogliono per l’appunto evidenziare la cosa]. Il motivo che ha indotto i linguisti coreani a prendere questa decisione? Probabilmente è l’aver considerato che le consonanti intensive (ㄲ ㄸ ㅃ ㅉ ㅆ) sono in realtà consonanti come le altre, anche se hanno un suono che potrebbe ritenersi effettivamente raddoppiato in lunghezza.

La pronuncia e la traduzione della quarta riga è perciò la seguente.

Un ultimo sforzo e avremo finito.


La quinta riga

우리들의 신입니다

Giunti a questo punto non ci dovrebbe essere bisogno di altre spiegazioni per capire il significato della quinta riga: gli elementi che la compongono sono infatti già stati tutti utilizzati e analizzati in precedenza.

우리들의
Questa sequenza di lettere l’abbiamo già vista prima e abbiamo appreso che si pronuncia uridŭré e che significa “di noi”, “nostro” eccetera.

신입니다
La sequenza 신입니다 (sinimnida) è formata dalla parola (sin, scarpe) e dalla terminazione 입니다 (imnida), già analizzate.

I dati di quest’ultima riga saranno quindi:


Abbiamo così concluso il compito che ci eravamo proposti di completare.

Il significato complessivo della paginetta è quindi:

Frasi semplicissime, alla portata di bambini coreani piccolissimi. Ma quanta fatica per noi!


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© Valerio Anselmo