La stampa in Corea e in Europa, la scrittura coreana
Conferenza tenuta presso le Arti Grafiche Colombo il 12 marzo 2008

Il 12 marzo 2008 nell’azienda AGC, Arti Grafiche Colombo di Gessate, di fronte a un gruppo di studenti universitari del San Raffaele di Milano ho tenuto una conferenza che toccava vari punti attinenti alla stampa, in particolare la controversia su chi abbia in effetti inventato l’arte tipografica (Gutenberg o i coreani?), con un accenno alla scrittura estremo orientale e all’alfabeto coreano. Per alcuni saranno cose già note, ma in questa relazione c’è forse qualche approfondimento in più.
Qui viene riportato per esteso il testo della conferenza, che è stato distribuito in quell’occasione anche su carta.

Nota: Cliccando su un carattere cinese studiato nelle scuole medie ne viene visualizzata la scheda.


Gutenberg è stato davvero il primo tipografo al mondo?

Questa chiacchierata si compone di due parti: una prima parte, più coerente con il titolo, tratta soprattutto di Gutenberg e del suo primato, mentre la seconda analizza un alfabeto diverso dal nostro, cioè l’alfabeto ancora oggi usato in Corea.

Siccome si parlerà di termini coreani, occorre anche premettere che questi saranno qui trascritti secondo il sistema più vicino alla nostra pronuncia, il McCune-Reischauer, che (in generale) rappresenta le consonanti all’inglese e le vocali all’italiana.

Il primato di Gutenberg

Credo che tutti abbiano sentito parlare della Bibbia di Gutenberg come del primo libro al mondo stampato con caratteri mobili metallici. Prima di Gutenberg, in Europa, i libri venivano diffusi solo mediante copie manoscritte, rare e costose. Gutenberg ha cambiato le cose stampando la sua Bibbia nel 1455 a Magonza in Germania.

Che l’invenzione della stampa con caratteri mobili metallici fosse da attribuire a Gutenberg sembrava essere un dato storico assolutamente certo fino a quando alcuni studiosi, a torto o a ragione, non cominciarono a mettere in dubbio la paternità dell’invenzione. Sembra che Gutenberg non abbia mai rivendicato apertamente questo primato, mentre si dice che ad un certo punto l’abbia rivendicato (probabilmente a torto) un suo assistente, Peter Schöffer, che era venuto a lavorare in Italia.

Ultimamente, grazie alle analisi scientifiche di Bruno Fabbiani del Politecnico di Torino, si è saputo che la stampa di quella prima Bibbia potrebbe essere avvenuta in un altro modo, cioè mediante lastre metalliche, sulle quali le singole lettere erano incise con l’ausilio di punzoni, e che sarebbero poi servite per creare le matrici di stampa. Tutto questo offusca, in un certo senso, la figura di Gutenberg come primo tipografo.

Spunta il Chikchi (Jikji)

Ma già un trentacinque anni fa il primato di Gutenberg ricevette un altro colpo con la scoperta di un testo coreano del 1377, chiamato Chikchi (Jikji ), stampato certamente con caratteri metallici mobili, finito in Francia verso la fine del 1800 e riscoperto nel 1972 nella Biblioteca nazionale di Parigi. La certezza che non si tratti di un’opera riprodotta con tavole di legno incise, come si usava di solito allora in Corea, è data da varie prove, ma soprattutto dal fatto che alcuni caratteri semplici e simmetrici (come ), per una svista del compositore, risultano capovolti nel testo.

La stampa di questa rarissima opera, unica al mondo, risale quindi a 78 anni prima della Bibbia di Gutenberg, tanto che nel 2001 il libro è stato riconosciuto dall’UNESCO come il più antico testo al mondo stampato con caratteri mobili metallici e di conseguenza annoverato fra le “memorie del mondo”.

Qui accanto si vede uno degli errori di stampa: il carattere “sole, giorno” () risulta capovolto per un errore del compositore, segno inconfutabile dell’avvenuta stampa con caratteri mobili

Parliamo allora un po’ di questo libro coreano. Ben diverso dalla Bibbia di Gutenberg, più piccolo come formato, come spessore e numero di pagine (appena 38 fogli rispetto alle 1282 pagine della Bibbia), diverso anche come decorazioni (presenti nella Bibbia, ma assenti nel testo coreano) e come tipo di scrittura, il Chikchi fu stampato in Corea nel quarto anno di regno del re U (che allora aveva 13 anni), in un periodo molto turbolento soprattutto a causa del fatto che il paese era vassallo dei mongoli che avevano invaso la Cina e che imponevano pesantissime tasse alla Corea.

C’erano anche notevoli turbolenze a corte: ne è prova il fatto che il precedente re Kongmin era stato assassinato e che lo stesso re U, suo figlio adottivo, finì assassinato all’età di 23 anni. Ma non finisce qui. Anche il re Ch’ang, figlio del defunto re U, salito al trono all’età di sette anni, dopo appena un anno veniva assassinato. In un ambiente talmente tragico non si poteva che invocare il Budda per chiedere il suo aiuto, e lo scopo di questo libro, stampato in un tempio, era appunto quello, di chiedere aiuto al Budda.

Tra parentesi, il nome dello stato coreano era allora Koryŏ (Goryeo ) e il nome “Corea” giunto fino a noi deriva appunto da Koryŏ. Il Chikchi fu composto appena quindici anni prima della fine del regno di Koryŏ. Il successivo stato coreano si chiamò Chosŏn (Joseon ), ma questo nuovo nome non fu mai usato in Occidente per indicare quella penisola.

La Bibbia dalle 42 linee e il Chikchi

Le due opere che abbiamo citato, la Bibbia di Gutenberg e il Chikchi coreano, sono entrambe opere religiose, ma lo scopo della loro composizione fu ben diverso: la Bibbia fu stampata da Gutenberg per ottenerne un guadagno (e gli andò male, perché la pubblicazione non ebbe successo), mentre il Chikchi fu stampato come atto di devozione al Budda e finanziato da una monaca senza alcun tornaconto immediato.

La differenza principale che notiamo fra le due opere nella scrittura del testo è che, mentre la Bibbia fu composta come si usa da noi, con le lettere dell’alfabeto latino disposte da sinistra a destra in righe orizzontali che si susseguono dall’alto in basso, il Chikchi fu invece composto come si usava allora in Cina e in Corea, cioè con i caratteri cinesi disposti dall’alto verso il basso in righe verticali che si susseguono da destra a sinistra, per cui la prima pagina del libro viene ad essere quella che noi consideriamo l’ultima.

In Corea fin dall’antichità si parlava una lingua a sé stante, il coreano, lontano parente del mongolo, lingua che non aveva niente a che fare con il cinese, ma all’epoca in cui fu stampato il Chikchi i coreani non possedevano ancora un proprio sistema di scrittura perché l’alfabeto coreano sarebbe stato inventato solo nel 1443 e promulgato con un editto nel 1446, quasi 70 anni dopo. Al momento della stampa del Chikchi i coreani parlavano coreano, ma per scrivere dovevano usare un’altra lingua, il cinese, e servirsi dell’unico modo di scrivere noto in Estremo Oriente, il complicatissimo sistema di scrittura ideografica cinese. Il Chikchi, quindi, è scritto in cinese.

È una specie di miracolo che di questo piccolo libro, stampato in pochi esemplari su carta sottilissima ne sia arrivata a noi una copia nonostante tutte le guerre e le devastazioni a cui è stata soggetta la Corea nei secoli.

In realtà le fonti storiche coreane, che, in quanto a date sono assolutamente sicure, riportano che la stampa con caratteri mobili metallici risale a molti anni prima, agli inizi del 1200 quando con quella tecnica fu stampato il testo Chŭngdoga (Jeungdoga ), mentre tra il 1234 e il 1241 furono stampate 28 copie di un altro libro, il Sangjŏngnyemun (Sangjeongnyemun ). Di questi libri, purtroppo, rimangono soltanto i titoli, essendo andate perdute tutte le copie stampate.

È interessante notare che, attorno a quell’epoca, tra il 1262 e il 1266 in Cina erano presenti anche i fratelli Niccolò e Matteo Polo, commercianti veneziani rispettivamente padre e zio di Marco Polo, il quale a sua volta raggiunse la Cina nel 1275, dove si fermò poi per 17 anni alla corte del Gran Khan, l’imperatore mongolo, e in quell’occasione sentì parlare della Corea (Koryŏ che in pronuncia cinese suona “Caoli” ), termine riportato nel suo resoconto di viaggio “Il Milione”.

Il Chikchi, una prova inconfutabile

La presenza di una copia stampata di quell’antico libro (il Chikchi) fa dunque risalire l’invenzione dei caratteri metallici mobili, come si è detto, ad almeno 78 anni prima dell’invenzione di Gutenberg, ma questa invenzione coreana si può estendere ben più indietro nel tempo, portandola a oltre due secoli prima di Gutenberg, se ci si basa su quanto detto nei testi storici coreani dell’epoca.

Visto che nel XIII e parte del XIV secolo vi erano scambi commerciali fra l’Europa e l’Estremo Oriente, oltre a viaggi di missionari inviati dal papato (fra cui Giovanni da Pian del Carpine, Guglielmo di Rubruk, Giovanni da Montecorvino, Odorico da Pordenone, Giovanni da Marignolle) che inviavano rapporti a Roma, è anche possibile che Gutenberg abbia sentito parlare di come in Corea venisse effettuata la stampa e che ne abbia tratto ispirazione.

Con questo non si pretende di attribuire più importanza all’invenzione coreana rispetto a quella di Gutenberg, solo perché quella coreana è avvenuta prima. L’importanza di un’invenzione è determinata dall’influenza che questa ha nell’ambiente in cui si diffonde, e bisogna ammettere che l’invenzione europea, anche se posteriore, ha avuto un’influenza grandissima sulla diffusione della cultura in Occidente, ben superiore a quella che ebbe la stessa invenzione in Corea.

Una piccola nota: quei testi coreani venivano composti a mano, come si componeva fino a pochi anni fa anche qui da noi. La differenza consiste soprattutto nella quantità di caratteri richiesti: poche decine di caratteri per “fonte” nelle nostre tipografie, parecchie migliaia nelle tipografie coreane e cinesi. Un gran lavoro, non solo per gli addetti alla fusione dei caratteri, ma certamente anche per i compositori.

Una panoramica delle tecniche usate allora per la fusione dei caratteri la trovate in un mio articolo pubblicato sul numero 1042 di Graphicus.

L’alfabeto coreano (Hunminjŏngŭm)

Passiamo adesso alla seconda parte, quella che illustra uno dei più perfetti alfabeti del mondo, l’alfabeto coreano, inventato nel XV secolo con criteri altamente scientifici dal re Sejong il grande.

Questo alfabeto, a differenza dei sistemi di scrittura dei paesi confinanti (Cina e Giappone) distingue chiaramente le vocali dalle consonanti, come fa il nostro alfabeto latino. È molto semplice, per cui una persona di intelligenza media lo può imparare in una mezza giornata, si adatta a essere usato assieme ai caratteri cinesi (che come suono rappresentano delle sillabe) e per di più è fonematico, cioè rappresenta gli elementi fondamentali della lingua e non semplicemente i suoni come nel nostro alfabeto, che è praticamente fonetico.

Per facilitare l’apprendimento da parte del popolo minuto, il re pensò bene di creare le consonanti con disegni che rappresentassero la forma degli organi della fonazione. Le vocali, invece, furono basate su tre elementi grafici fondamentali legati alla filosofia orientale, una linea verticale che rappresenta l’uomo, una linea orizzontale che indica la terra e un pallino che indica il cielo. Variamente combinati fra loro questi tre elementi permettevano di rappresentare tutte le vocali e tutti i dittonghi del coreano del XV secolo e le rappresentano abbastanza bene ancora oggi, anche se il pallino è ora diventato un trattino.

Vediamo innanzitutto le consonanti

Come abbiamo detto, le consonanti rappresentano in modo visivo l’articolazione dei suoni: le velari (k/g k’ kk) si basano sulla forma della parte posteriore della lingua che tocca il palato al momento della chiusura (il trattino superiore rappresenta una chiusura); le alveolari (n t/d t’ r/l tt) si basano sulla forma della punta della lingua che tocca gli alveoli dentari; le dentali (s ch/j ch’ ss tch) sulla forma dei denti; le bilabiali (m p/b p’ pp) sulla forma delle labbra; le glottidali (zero/ng h) sulla forma della glottide.

Come si vede dalla trascrizione dei suoni, le occlusive (k/g) (t/d) (p/b) e l’affricata (ch/j) hanno due pronunce, una pronuncia sonora (g, d, b, j) quando si trovano entro confini sonori, e una sorda (k, t, p, ch) negli altri casi. Ciò significa che in coreano non vi è distinzione fra le occlusive e affricate sorde e quelle sonore: la diversa pronuncia è determinata semplicemente dalla posizione della consonante nella sequenza. (In pratica, non distinguono fra “panca” e “banca”.)

Sempre a proposito delle occlusive e delle affricate, vi sono poi le aspirate, cioè le occlusive (k’) (t’) (p’) e l’affricata (ch’), e le intensive (kk) (tt) (pp) e l’affricata (tch). Queste consonanti sono necessarie in coreano perché in quella lingua, come si è detto, non esiste, per quelle consonanti, la distinzione fra sorde e sonore, ma esiste la distinzione fra non aspirate (le intensive), le leggermente aspirate (quelle normali) e le fortemente aspirate (quelle che in trascrizione sono seguite dall’apostrofo).

La consonante , che ha la forma di un pallino vuoto, è la fusione di due consonanti inizialmente diverse, la prima che rappresentava l’apertura della glottide nella pronuncia di una vocale non preceduta da consonante, mentre la seconda indicava la nasale velare ŋ. Va da sé che anche le due nasali (quella dentale “n” e quella velare “ŋ”) che nel nostro alfabeto non sono distinte, in coreano servono invece a distinguere fra loro parole simili (ad esempio significa “ fegato”, mentre significa “ fiume”).

E ora le vocali

Le vocali, come abbiamo visto, erano all’inizio composte da una linea verticale , da una linea orizzontale o da un pallino, o anche da una combinazione di una delle linee con uno o due pallini. I pallini si sono però quasi subito trasformati in lineette. Le principali delle vocali e dei dittonghi si presentavano all’inizio all’incirca come qui indicato.

Dalla figura si capisce subito che le lettere delle vocali sono dei simboli che possono avere un andamento verticale (i primi in alto) o un andamento orizzontale (quelli in basso).

Siccome si doveva integrare con i caratteri cinesi, dove ogni carattere rappresenta una sillaba ed è scritto in un quadrato, l’alfabeto coreano doveva essere progettato in modo che anche le sillabe scritte in alfabeto si potessero scrivere in un quadrato.

Ecco allora che sono state create quelle che io chiamo “sillabe grafiche”, composte sempre da almeno una consonante in posizione iniziale e da una vocale o un dittongo in seconda posizione. Se la sillaba inizia con una vocale o un dittongo, la cosiddetta “consonante” iniziale sarà quella indicata da un pallino vuoto che, in posizione iniziale di sillaba, non ha un suono suo proprio. Se poi la sillaba contiene una consonante finale, o due, queste saranno scritte sotto le altre lettere.

A seconda dell’andamento (verticale o orizzontale) delle vocali, le consonanti in prima posizione saranno scritte alla sinistra delle vocali verticali o sopra le vocali orizzontali. Il tutto dovrà riempire un quadrato, variando un poco la dimensione e la forma delle lettere.

Forse qualcuno avrà notato che l’alfabeto coreano non ha alcune delle nostre consonanti, come la F, la V, la X o la Z, ma questo perché il coreano fa a meno di queste e di altre consonanti, come la S sonora, la L iniziale di parola, e così via.

Per un esercizio di scrittura con l’alfabeto coreano, si veda la pagina www.corea.it/lingua.htm.

Altre notizie sull’argomento le potete leggere in due dei miei siti e precisamente: in www.gutenberg-secrets.com (chiuso dal luglio 2011) e in www.corea.it.

Valerio Anselmo

Relazione presentata presso le Arti Grafiche Colombo - Gessate - il 12 marzo 2008


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© Valerio Anselmo