Il duro lavoro delle pescatrici di Chejudo
Una ricerca sul campo sulle tuffatrici-pescatrici di Chejudo

Nota: Cliccando su un carattere cinese studiato nelle scuole medie ne viene visualizzata la scheda.


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a visione di una donna che si immerge nel mare con una maschera fornita di respiratore e una tuta nera aderente può evocare immagini di spiagge sabbiose, palme da cocco e ragazze in bikini. Ma nell'isola di Cheju le pescatrici subacquee, note come chamsu (잠수 ), simboleggiano la forza, l'indipendenza e la resistenza alla fatica della popolazione femminile dell'isola.

Donne forti e indipendenti, con un ricco passato

L'isola di Cheju si trova, in linea d'aria, a 453 chilometri a sud di Seul e a 81 chilometri dalla punta più meridionale della penisola coreana. Le chamsu, chiamate anche haenyŏ (해녀 ) in alcuni villaggi, sono pescatrici professioniste che si guadagnano da vivere immergendosi in apnea per raccogliere alghe di mare commestibili, strombi, ricci di mare e altri frutti di mare. Anche se in passato sono esistiti tuffatori maschi, sono state le donne che vivevano nei villaggi costieri di Chejudo che hanno svolto fin dall'inizio la maggior parte del lavoro nella tradizionale pesca subacquea.

Secondo Kim Soo-wan, direttore del Dipartimento della pesca marittima del governo regionale, le donne si immergono fino alla profondità di 15 metri in apnea, senza ossigeno. Statistiche del Dipartimento della pesca marittima rivelano che nel 2002 le pescatrici registrate erano 5.659. In confronto al 1965, quando le pescatrici erano 23.000, cioè un quinto del totale della popolazione femminile oltre i 15 anni, il numero attuale mostra un netto declino, e tale numero è destinato a ridursi ulteriormente dal momento che l'età media di queste donne va aumentando. Nel 2002, infatti, il 39 per cento delle pescatrici subacquee superava i 60 anni d'età, con la più anziana del gruppo che aveva 87 anni. Solo due di queste erano registrate nella fascia d'età di 30 anni o meno, con la più giovane che aveva 27 anni.

Secondo Han Rim-hwa, una studiosa che sta effettuando ricerche sulla cultura tradizionale dell'isola presso l'Università nazionale di Cheju, il motivo di questo declino nella popolazione delle pescatrici subacquee è stato lo sviluppo economico, non disgiunto dalle difficoltà fisiche legate alle immersioni. “Fino agli anni '70, figlie e madri non consideravano per nulla faticosa questa attività. Ma dopo gli anni '70, quando la situazione economica andò migliorando e la principale industria della pesca si trasformò in un'industria collegata con il turismo, le madri vollero mandare le loro figlie a lavorare in fabbrica o a fare qualche lavoro che avesse attinenza con il turismo”.

Nessuno sa con esattezza quando ebbe inizio la tradizione delle tuffatrici-pescatrici (chamsu), ma le prime evidenze indicano la presenza di tuffatori-pescatori nei primi anni del periodo Chosŏn (1392-1910). Entro il 17º secolo, però, questi furono quasi completamente sostituiti da tuffatrici-pescatrici. Nei periodi più difficili, il che avvenne per la maggior parte della storia dell'isola, erano le donne che, tuffandosi nelle onde, riuscivano con il loro lavoro a sostenere la propria famiglia. Alcune di esse si spostarono sulle coste della penisola, o si recarono fino in Giappone, in Russia o in Cina alla ricerca di lavoro come tuffatrici-pescatrici.

Le tute che le chamsu indossano oggi non erano ancora usate fino a meno di 30 anni fa. Prima le donne si immergevano indossando calzoncini da bagno di cotone e una canottiera e portando con sé un canestro-boa, che serviva loro per aiutarsi a stare a galla e per contenere il pescato. Il lavoro era fisicamente difficile e faticoso, ma offriva alle donne indipendenza in una società che sentiva il freddo predominio del confucianesimo maschilista. In particolare, come persona che procurava da mangiare per tutta la famiglia, la pescatrice rappresentava un'inversione nel ruolo della donna, rispetto a quanto avveniva sulla terraferma. “Nella società tradizionale dell'isola, la cultura dei nobili yangban (양반 ) e la cultura isolana erano in contrasto.”, aggiunge Han, “Anche se vivevano in una società confuciana, le donne dell'isola erano tuttavia molto libere.”

Due pescatrici sono appena uscite
dall'acqua e stanno tornando a casa

Come Han ha scoperto facendo ricerche sulle tuffatrici-pescatrici verso la fine degli anni '80, esse vivevano e lavoravano in comunità strettamente legate fra loro ed è così ancora oggi. “Viste dal di fuori, non si presentano diverse dalle altre isolane, ma guardandole dal di dentro, sono effettivamente molto diverse. Costituiscono un gruppo davvero unito. Madri, figlie, cognate e amiche escono tutte assieme. Vivendo in un ambiente ostile com'è l'acqua del mare, hanno sviluppato la convinzione che, se cooperano, possono fare qualunque cosa. La condivisione e la cooperazione sono sempre state un aspetto molto importante della cultura di questa categoria di persone.”

Nell'isola le tuffatrici chamsu sono anche famose per essersi sollevate contro l'oppressione giapponese. Nel 1931 e 1932, quando il governo giapponese aveva posto nell'isola un funzionario che doveva effettuare la supervisione delle tuffatrici, organizzarono la più grande protesta civile da parte di lavoratori della pesca nella storia coreana. Quattro anni dopo le donne fondavano l'Associazione cooperativa Chamsu, nota ora col nome di Cooperativa per la pesca di Chejudo.

Un lavoro molto duro per guadagnarsi da vivere

Anche se le pescatrici di Chejudo hanno una ricca storia profondamente legata all'isola, il loro numero è oggi in costante diminuzione, quasi certamente come risultato del progresso economico. Come molti degli sviluppi che si stanno verificando nell'isola, il fato delle chamsu rappresenta uno scollegamento fra il passato e il futuro dell'isola.

“Le tuffatrici-pescatrici sono il simbolo dell'isola di Cheju, ma per chi fa questo mestiere si tratta solo di un modo come un altro di guadagnare.”, dice Han, la cui sorella in gioventù era anche lei pescatrice. Ed è un modo difficile e faticoso di guadagnarsi da vivere. Molte delle donne soffrono di emicranie dovute alla pressione, il risultato dell'immergersi a vari metri sott'acqua senza respirare. Kim del Dipartimento della pesca marittima cita il caso di varie chamsu che si sono fatte visitare da un medico della marina a causa di feroci emicranie che le colpivano dopo le immersioni. Il dottore disse loro che il loro mal di capo poteva essere alleviato solo abbandonando quel lavoro. Ma, come si è potuto appurare parlando con alcune delle pescatrici del villaggio di Taejŏng, poche sono disposte a lasciare questa attività, specialmente le più anziane.

Quando l'autrice dell'articolo ha visitato Taejŏng, un piccolo villaggio di pescatori sulla costa sudoccidentale dell'isola di Cheju, le pescatrici avevano appena finito le immersioni per quel giorno. Seguendo l'orario delle maree, vi erano tornate nel primo pomeriggio. Le tute di gomma delle donne erano stese ad asciugare a un paio di passi dalla spiaggia rocciosa.

Ko Chang-dŏk del Dipartimento della pesca marittima aveva predisposto l'incontro grazie all'intermediazione di un suo amico, Lee Jae-jin. “Lui è il capo delle chamsu. È l'incaricato delle questioni del mare in quest'area. In ogni villaggio c'è una persona così. Lui non permette che la gente comune incontri le pescatrici.” aveva aggiunto Ko.

Le donne stavano già rompendo i ricci di mare che avevano preso, che sarebbero stati venduti a 55.000 Won al chilo. La maggior parte di questi, assieme agli strombi che avevano raccolto, sarebbero poi stati spediti in Giappone.

Nonostante il fatto che l'incontro fosse stato predisposto, le donne continuavano a fare il loro lavoro, scambiando qualche frase fra loro e asciugandosi i capelli, ma per la maggior parte del tempo in silenzio e affaccendate. Secondo quanto dice Kim, alcuni giornalisti stranieri e anche vari giornalisti coreani, nella maggior parte dei casi donne, sono venuti a cercarle, ma solo per trovarsi di fronte a delle pescatrici molto riservate e senza alcuna intenzione di farsi intervistare.

Kang Soon-ae, quarantanovenne, la più giovane
tuffatrice-pescatrice del gruppo di Taejŏng

Alla fine, una delle donne fu convinta da Lee a parlare del proprio lavoro, mentre le altre se ne restavano all'interno del piccolo locale di servizio.

Kang Soon-ae, quarantanovenne, la più giovane chamsu del gruppo, guardava l'intervistatore con apprensione. Tutte le donne, compresa Kang, avevano il volto bruciato dal sole. Kang parlava nel dialetto di Cheju che la rendeva quasi incomprensibile se non da un locale. Ecco il succo dell'intervista.

Kang e le donne del suo gruppo vanno in mare 11 mesi all'anno, con un mese di riposo. Sono costrette a stare sulla spiaggia, senza immergersi, in media 15 giorni al mese per proteggere le loro risorse e a causa del mare agitato. Le loro uscite per la pesca durano generalmente dalle quattro alle sei ore, anche se sono più brevi durante i mesi invernali.

“Di solito facciamo dei periodi ininterrotti di sei ore, a seconda delle condizioni dell'acqua.” dice Kang e poi, parlando delle pescatrici di qualche anno fa che non avevano le tute, aggiunge: “Prima le donne facevano solo un'ora, andavano in acqua e poi ne venivano di nuovo fuori subito.” “Sono circa 20 anni che abbiamo a disposizione le tute di gomma. Prima erano fatte di tessuto.” dice fregandosi le spalle.

Alla richiesta se originariamente avesse scelto lei di lavorare nel mare, risponde: “Allora come avrei potuto avere il tempo di studiare? Dovevo guadagnarmi il pane. Non c'era niente da mangiare. Anche se avremmo dovuto avere tre pasti al giorno, potevamo mangiare solo una volta o due al giorno.”

Dice di avere intenzione di continuare le immersioni fino ai 70 anni, o fino a quando lo permetteranno le sue condizioni di salute, ma manifesta forti riserve circa il fatto che sua figlia possa continuare il suo lavoro. “Per tre generazioni le donne della mia famiglia sono state pescatrici, ma mia figlia non sa neppure nuotare. E, anche se è difficile convincerla a non seguire questa professione, io non voglio che la segua.” aggiunge, abbassando un po' la voce.

Dietro a Kang, nella stanza riservata alla cura del prodotto, una decina di donne stanno rompendo i ricci di mare con le mani guantate. “Fanno tutto con le mani, tirando fuori gli interni dei ricci.” dice Lee guardando indietro verso le donne. “Il prodotto non è poi così caro, se si considera la fatica e il costo del lavoro”.

Ultimamente, però, pescare frutti di mare è diventato particolarmente difficile a causa dell'inquinamento e del fatto che lo sfruttamento eccessivo ha impoverito il mare che un tempo era ricco di prodotti marini. Ma in luoghi come Marado (마라도 ), l'isoletta satellite di Chejudo posta più a sud, che ha un suo proprio gruppo di pescatrici, i diritti di pesca costiera sono stati riservati esclusivamente agli abitanti del villaggio. E questo negli ultimi tempi ha fatto diminuire in modo visibile l'inquinamento.


Tratto da “Jeju's Tough Mermaids”, in Korea Now, 31 maggio 2003, pp. 38-39. Testo originale di Iris Moon. Pubblicato con autorizzazione del Korea Information Service, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: “Korea Now”.

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