I l coreano non è una lingua facile per noi italiani. Per chi inizia lo studio di questa lingua il primo ostacolo è rappresentato dalla pronuncia, mentre la scrittura non pone problemi grazie all’estrema semplicità dell’alfabeto. Il coreano possiede vocali e consonanti diverse dalle nostre e le differenze fra l’alfabeto latino e quello coreano sono tali che non risulta possibile rappresentare con una soddisfacente approssimazione i suoni del coreano con le nostre lettere. Lo stesso alfabeto latino viene usato per rappresentare suoni diversi fra loro già nelle varie lingue europee e un primo accordo internazionale per rappresentare i suoni delle lingue estremo-orientali in modo (più o meno) soddisfacente utilizzando le lettere romane fu quello di adottare nella trascrizione in lettere latine la pronuncia delle consonanti all’inglese e quella delle vocali all’italiana. Questo accordo ha funzionato bene per il giapponese con il sistema Hepburn (un po’ meno per il sistema ufficiale di traslitterazione kunreishiki romaji) e anche per il Wade-Giles per il cinese (molto meno per il sistema ufficiale pinyin). Per il coreano, fino al 2000 sono stati in uso vari sistemi di trascrizione in caratteri latini, il principale dei quali è stato il McCune-Reischauer che viene ancora oggi usato da buona parte degli studiosi occidentali (si veda la decisione della Library of Congress «The Library of Congress will continue to follow the McCune-Reischauer system to romanize Korean.»), mentre il governo coreano ha adottato in quella data un proprio sistema di “romanizzazione” che sta a cavallo tra un sistema di traslitterazione e uno di trascrizione. La soluzione è tutt’altro che semplice in quanto si tratta di utilizzare un sistema di scrittura fonetico (come è quello latino) per rappresentare un sistema di scrittura fonematico (quale è quello coreano). Questo sito www.corea.it ha fino al 2007 seguito il sistema McCune-Reischauer perché più conosciuto in occidente, ma dal 2008 seguirà il sistema di romanizzazione proposto dal governo sudcoreano, anche perché questo sistema è ormai riconosciuto da molti dei media europei ed è adottato in Corea per indicare tutti i nomi geografici. Vediamo, quindi, quali sono le caratteristiche di questo nuovo sistema di trascrizione del coreano. La romanizzazione si basa sulla pronuncia del coreano, così come faceva la trascrizione McCune-Reischauer, ma i suoi autori hanno, giustamente, deciso di non usare simboli poco noti (come la ŏ o la ŭ che non sono facilmente ottenibili su un computer), o come l’apostrofo (’) che si può facilmente dimenticare. Il vero problema è il fatto che, nell’alfabeto latino, non vi è un numero di vocali (senza segni diacritici) sufficiente per rappresentare tutte le vocali distintive del coreano, per cui alcune vocali semplici del coreano devono essere rappresentate da digrammi (come eo e eu al posto di ŏ e ŭ). Questo, purtroppo, resta un problema insolubile a causa della mancanza di un numero sufficiente di lettere delle vocali nel nostro alfabeto. Per le consonanti c’è poi il fatto che queste, nei nostri alfabeti fonetici, hanno un suono abbastanza fisso, mentre nell’alfabeto fonematico del coreano possono avere suoni diversi a seconda della posizione che occupano nella parola, per non parlare delle eccezioni. Insomma, romanizzare il coreano resta sempre difficile per chi non conosca la lingua, perché la pronuncia non sempre è determinata esattamente dalla scrittura: Le “Norme speciali per la romanizzazione” riportate nel prospetto che segue permetteranno immediatamente di capire di che si tratta. Le fontiLa pagina dedicata all’alfabeto nel sito governativo Korea.net è stata a più riprese modificata e infine eliminata. Oggi (26 novembre 2013), non essendoci più alcun riferimento alla romanizzazione nel sito governativo, riportiamo qui sotto il contenuto dell’ultima versione di quella utilissima pagina, tradotto in italiano. Rispetto all’originale, per dare maggior chiarezza ai caratteri coreani qui si sono ingrandite le dimensioni del testo. Si sono inoltre riportate (in grigio, fra parentesi quadre e in caratteri coreani) le pronunce effettive delle parole, anche quando queste non erano indicate nell’originale. PremessaPrima di affrontare il contenuto del proclama del Ministero della Cultura e del Turismo, sarà utile capire un po’ quale sia il valore fonetico delle lettere utilizzate da questa romanizzazione del coreano. Si tenga presente che le consonanti sono all’inglese e le vocali all’italiana. Quindi gi si leggerà come l’italiano “ghi” (e non come l’italiano “gi”) e chi si leggerà come l’italiano “ci” (e non come l’italiano “chi”). Stabilito questo, bisogna ricordare che l‘alfabeto coreano non è fonetico come il nostro, ma fonematico, e che la contrapposizione sorde / sonore fra le occlusive e le affricate non è distintiva, come da noi, mentre invece lo è la contrapposizione fra aspirate e non aspirate. Di conseguenza gi / ga si leggeranno come i nostri “ghi” / “ga” in italiano e ji / ja si leggeranno come i nostri “gi” / “gia”. Ma, a causa del fatto che queste lettere traslitterate coincidono con lettere dell’alfabeto coreano, non corrisponderanno in realtà a dei “suoni”, ma a dei “fonemi”. E questi fonemi potranno avere suoni diversi a seconda dei loro confini sonori. Avremo quindi che gi / ga, oltre che essere letti come i nostri “ghi” / “ga” [con consonanti sonore], in certe condizioni si potranno anche leggere come i nostri “chi” / “ca” [con consonanti sorde sul tipo della “k”], mentre ji / ja , oltre che essere letti come i nostri “gi” / “gia” [con consonanti sonore], in certe condizioni si potranno leggere anche come i nostri “ci” / “cia” [con consonanti sorde]. Il sistema di trascrizione McCune-Reischauer in questi casi usava due tipi diversi di consonanti g e k per quello che nella nuova romanizzazione è ora indicato con un’unica lettera, la g, mentre usava j e ch per quello che è ora qui indicato con la sola j. Le due pronunce che assumono le consonanti g e j (chi o ghi, ci o gi) dipendono dalla posizione della consonante nella sequenza fonica: se la consonante si trova in posizione iniziale dopo una pausa o all’interno della parola, ma dopo una consonante sorda, si userà la pronuncia sorda, se invece è fra confini sonori si userà la pronuncia sonora. Allo stesso modo si comportano altre due consonanti, cioè la b che si legge “p” o “b” e la d che si legge “t” o “d”, in precedenza trascritte con coppie di consonanti diverse (b e p, d e t) dal sistema McCune-Reischauer. Queste quattro lettere romanizzate (g, d, b, j) corrisponderanno quindi al suono di otto nostre consonanti, quattro sorde e quattro sonore a seconda della posizione che la consonante romanizzata ha nella parola o nella sequenza fonica. Le consonanti k, t, p, ch, che da noi sarebbero le contrapposizioni sorde delle rispettive consonanti sonore, in coreano rappresentano invece delle consonanti che sono, sì, sempre sorde, ma soprattutto fortemente aspirate, in quanto la contrapposizione distintiva si ha non fra “sonore” e “sorde”, ma fra “non aspirate” e “aspirate”. Allora, ki / ka saranno come i nostri “chi” / “ca” aspirati, t sarà come il nostro “t” aspirato, p come il nostro “p” aspirato e chi / cha come i nostri “ci” / “cia” aspirati. Il precedente sistema McCune-Reischauer in questi casi usava le lettere k’, t’, p’, ch’ che includevano l’apostrofo, ora escluso dal nuovo sistema di romanizzazione. Per le vocali, il digramma ae è una nostra “è” aperta, eo è la nostra “o” aperta, mentre eu è un suono che si avvicina alla “e muta” (e muet) del francese, ma pronunciata con le labbra non protruse. La oe e la wi , pur avendo di solito un valore dittongale, assumono talvolta, nella pronuncia delle persone anziane, il valore che hanno rispettivamente le vocali “ö” e “ü” in tedesco. Segue un prospetto della romanizzazione con esempi, tratta da una pagina messa in linea dal sito Tour2Korea, ora scomparso. La pagina del sito Korea.net, citata in precedenza, ne segue comunque da vicino il contenuto.
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© Valerio Anselmo