Jung Kwan-chae, mastro tintore
Ricrea il colore blu profondo del cielo autunnale


L’

indaco, in coreano tchok (), un colore brillante che ricorda il blu profondo di un terso cielo autunnale, viene prodotto da una pianta dello stesso nome. Simile al blu persiano, questo colore squisito è il risultato di un procedimento di tintoria intricato e scrupoloso.

Secondo i coreani, niente sta alla pari del colore dell'indaco, in particolare di quello ottenuto con il tchok coreano, un colore blu unico, che non può essere creato utilizzando tinte sintetiche. Questa tinta impregna il tessuto di cotone bianco, radiando tutto intorno il suo intenso eppur delicato colore. Il colore indaco, spesso descritto nei vecchi detti coreani come “più blu del blu originale” e che riflette il blu profondo del cielo autunnale, viene dalla pianta del tchok (polygonum tinctorium), un membro della famiglia delle indigofere. A prima vista, questo colore sembra essere molto simile al blu indaco, il colore dei blue jeans, ma, a un esame più attento, si nota che il tchok coreano si differenzia dagli altri per certe sue sfumature di colore.

Nei campi dove cresce, quest'erba non si distingue dall'erba ordinaria. Come è possibile che questa pianta che si presenta così poco appariscente possa produrre una tinta così brillante? E com'è che questo colore così affascinante viene reso vivo? È grazie a gente come Jung Kwan-chae, che nel 2001 è stato designato “importante proprietà culturale intangibile (numero 115)” nel campo culturale della tintoria (questo titolo è un qualcosa di simile al nostro “tesoro nazionale”, ma applicato a una persona vivente).

Jung Kwan-chae osserva con orgoglio una
stoffa tinta col suo blu indaco particolare

Jung, che non ha ancora 50 anni, è piuttosto giovane per essere designato “proprietà culturale” in Corea. Però, nonostante la sua relativamente giovane età, ha dedicato quasi trent'anni all'arte della tintoria tchok.

Naju, nella regione del Chŏlla-namdo, è la terra natale di Jung. Siccome il fiume Yŏngsan-gang, che passa a Naju, straripa tutti gli anni durante la stagione delle piogge, per i residenti locali è sempre stato difficile trarre il proprio sostentamento dalla normale coltivazione della terra. Di conseguenza, essi hanno preferito dedicarsi alla coltivazione del tchok e alla produzione della tinta indaco, facendo di Naju un centro dedicato alla tessitura e alla tintoria.

La tintura con il tchok è arrivata in Corea dall'India, attraverso la Cina, ma, nonostante la lunga tradizione di tintoria con il tchok, due sole persone sono state designate “tesori umani” in questa specialità: Youn Byeng-wun e Jung Kwan-chae, e ciò a causa del fatto che, fino a pochi anni fa, questo mestiere un tempo molto diffuso era praticamente scomparso in Corea.

Tele tinte con il tchok

“L'interruzione delle nostre pratiche tradizionali di tintoria - dice Jung - sono state causate dall'occupazione coloniale giapponese e dalla guerra di Corea. Dopo 50 anni siamo stati in grado di far risorgere le nostre tradizioni tchok grazie allo studioso di folclore Ye Yong-hae che ha riportato in Corea i semi di tchok dal Giappone. Park Bok-gyu, un professore d'arte dell'Università nazionale di Mokpo, che è stato mio professore - aggiunge Jung - ha coltivato i semi. In pratica le tecniche di base mi sono state trasmesse quando mi trovavo ancora all'Università e da allora ho cominciato a tingere le stoffe con l'indaco prodotto con il tchok.”

Successive ricerche rivelarono che le piante di tchok indigene coreane non erano del tutto scomparse dalla Corea: continuavano a crescere nella penisola coreana, ma se ne era persa memoria. La tradizione della tintoria fatta con il tchok si era però conservata negli anni grazie a un piccolo gruppo di persone. Jung ha appreso da sua madre l'arte di tingere i tessuti con il tchok e ha coltivato la pianta nel suo luogo di lavoro a Naju (villaggio Saetkol, Kahŭng-ri, Tasi-myŏn) a partire dal 1978.

Rotoli di tela tinta in indaco con il tchok

La zona di Kahŭng-ri faceva parte del regno di Paekche durante il periodo dei Tre Regni (I sec. a.C. - VII sec. d.C.). Pogam-ri, non lontano da Kahŭng-ri, è il luogo in cui si trovano le antiche tombe di Paekche. Oltre all'arte di tingere con il tchok, altri motivi di orgoglio di questa zona storica sono il saetkollai e il sep'o, tessuti di cotone di alta qualità fatti a mano e prodotti a Saetkol. Il saetkollai, delicato tessuto di cotone impregnato del colore indaco naturale prodotto con il tchok, era in passato senza dubbio uno dei tributi più preziosi che venissero offerti ai re coreani. I tessuti tinti con il tchok erano anche i più desiderati dalle future spose, anche se erano piuttosto difficili da ottenere.

Il tchok è anche un buon repellente per gli insetti, per cui i tessuti tinti con il tchok sono l'ideale per conservare certe opere d'arte, come i dipinti su carta o i ricami su seta.

Ma ecco una panoramica del procedimento seguito per tingere un tessuto con questa pianta.

I semi di tchok vengono seminati in primavera e il raccolto viene effettuato nei mesi di luglio e agosto all'alba, quando le foglie sono ancora coperte dalla rugiada mattutina. Le piante appena raccolte vengono poi poste a macerare in una grande giara d'acqua per due giorni, per cui l'acqua diventa di un colore verde pallido.

La pianta di tchok (indaco)

A questo punto il tchok viene tolto dalla giara e all'acqua vengono aggiunti gusci di ostriche che sono stati in precedenza fatti cuocere e poi polverizzati. L'acqua viene poi fatta bollire.

Il colore dell'acqua passa al giallo, quindi al porpora e infine al blu. Quando la polvere dei gusci di ostriche ha assorbito la tinta del tchok e alla fine precipita sul fondo della giara, all'acqua colorata vengono aggiunte le ceneri prodotte da gambi di tchok o da gambi di fagioli. Devono passare altri 15 giorni prima che la tinta sia pronta per essere usata. La tintura è completata quando il tessuto tinto viene immerso in acqua fresca e vengono rimosse le ceneri.

Tutto ciò è più presto detto che fatto. Al massimo della stagione della tintura anche dieci persone che lavorino assieme avranno tutte il loro bel daffare. Inoltre il procedimento richiede la vasta esperienza di un maestro tintore che sappia stabilire il momento giusto per il raccolto del tchok, la giusta quantità di ceneri da aggiungere all'acqua e il tempo richiesto perché il prodotto si asciughi.

Quando vengono immerse in acqua, le piante
di tchok rilasciano un colore verde-blu chiaro

“Solo quando il tchok viene combinato con la polvere dei gusci di ostriche e con le ceneri, – aggiunge Jung – l’acqua produce il suo magnifico colore. È un procedimento complicato che coinvolge la fermentazione da parte di microrganismi che producono ossidazione e disossidazione. Anche se la tintura con l’indaco è un metodo praticato comunemente in tutto il mondo, compresa l’Europa, la Cina e il Giappone, esistono però differenze nelle tecniche specifiche.”

“In Giappone, per esempio, viene usato un procedimento di tintura con esposizione al vapore. Non si può descrivere a parole lo splendore del colore che cambia da verde pallido al vero colore indaco definitivo man mano che il tessuto asciuga al sole. È anche sorprendente che la giara con l'acqua del tchok abbia bisogno di fermentare in una stanza scaldata con il tradizionale sistema di riscaldamento coreano che passa sotto il pavimento.”

Jung usa ancora una giara che ha almeno 100 anni e che gli è stata data da suo nonno. Egli ama ogni singolo passaggio del procedimento che gli permette di perpetuare questa tradizione. La sua passione per l'arte l'ha stimolato a documentare sistematicamente le tecniche di tintura con il tchok, che in precedenza venivano apprese unicamente per esperienza personale.

Il risultato del procedimento di tintura del tessuto, dopo che
nell'acqua si è mischiata polvere di gusci di ostriche e ceneri.

Jung ha ottenuto un master in tintura con il tchok e attualmente insegna all'Università nazionale coreana del patrimonio culturale a Puyŏ. Lavora anche attivamente per promuovere la tecnica di tintura con il tchok.

Jung raccoglie il tchok dai suoi campi che coprono un'area di varie migliaia di metri quadrati. Nel suo laboratorio ci sono più di 100 giare piene di tchok che sta macerando nell'acqua e una buona quantità di questa tinta è destinata alla vendita. “Ma non posso vendere la tinta a chiunque. – dice – Per ottenere buoni risultati con questo procedimento occorre avere molta esperienza.” Nei tempi andati chi aveva bisogno di tessuto tinto di indaco si doveva rivolgere a un maestro tintore che facesse il lavoro, cosicché ogni pezza di tessuto ne risultava “personalizzata”, come si dice oggi.

Dopo essere stato tinto e asciugato, il tessuto
viene “stirato” alla maniera tradizionale coreana,
cioè battuto a lungo con dei bastoni a forma di clava

Jung lavora con circa dieci apprendisti. Sta pensando di commercializzare i suoi prodotti tinti di indaco, ma questo per ora resta solo un sogno: ha già troppi ordini da evadere, più di quanti ne possa soddisfare anche con l'aiuto dei suoi apprendisti.


Basato su “Jung Kwan-chae, Color of the Deep Blue Sky”, in Koreana, vol.17, n.2, estate 2003. Testo originale di Choi Tae-won, foto di Seo Heun-kang. Pubblicato con autorizzazione della Korea Foundation, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: Koreana.

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© Valerio Anselmo