Ora anche la Corea produce vino

Per chi si occupa di enologia nel mondo, la Corea è una terra di opportunità. Come nella maggior parte dei paesi asiatici, in Corea il soju (소주), un liquore dal sapore forte, distillato dal riso, è molto apprezzato dalla popolazione.

Anche la birra e il wisky hanno un forte mercato. Tuttavia in termini di crescita o di lealtà a una particolare bevanda alcoolica, il vino li batte tutti. Il totale di vino importato nel 2001 ha superato i 10 milioni di litri.

Oggi il vino non sta solo cambiando la cultura del cibo in Corea, ma anche la vita sociale della popolazione, tanto che il libro If You Know Wine, Business is Enjoyable (Se si conosce il vino, fare affari è piacevole) è stato accolto molto bene.

Un fanatico del vino che vive a Seul predice: “Quando si sarà formata una base di appassionati che amano gustare il vino in un modo tranquillo e dignitoso, il mercato del vino si espanderà molto rapidamente”.

Costui, che è un comune impiegato che lavora nella capitale, ha intenzione di entrare nel commercio del vino nel prossimo futuro e di metter su un bar specializzato come enoteca. Un corso di cultura del vino che egli segue non è solo frequentato da persone come lui, ma da donne di casa e da impiegati che amano il vino. L'Accademia del vino stima che nel 2002 il numero dei partecipanti alle lezioni più affollate abbia superato le mille persone.


Premessa dell'autore del sito

F

ino a non molti anni fa la parola “vino” (sul ) in coreano significava, nell'accezione più comune, “vino di riso”, mentre il vino d'uva (detto p'odoju 포도주, o “succo d’uva”) era praticamente sconosciuto alla maggioranza della gente. A mo’ di introduzione a questa pagina sul vino, mi sia permesso di citare un piccolo episodio che ha a che fare col vino e che mi è capitato nell’estate del 1967 quando, studente dell’Università Nazionale di Seul, giravo per una delle più sperdute campagne coreane per una ricerca sui dialetti locali. Il brano è tratto da alcune memorie sulla Corea che sto attualmente scrivendo.

«In un'altra circostanza proprio io, come straniero, ebbi modo di rallegrare involontariamente con la mia presenza un gruppo di vecchietti che avevano deciso di radunarsi in un luogo fresco lungo un torrente per passare una giornata di vacanza. Quando avevano progettato quella gita avevano invitato anche un prete straniero, che sarebbe dovuto arrivare a una cert'ora, ma evidententemente questi non li aveva informati che non sarebbe venuto. Quando, scendendo il sentiero lungo il torrente, vidi questo gruppo di anziani con indosso i vestiti di tela bianca e il cappello di crine in testa, che bevevano allegramente e scherzavano, stavo per deviare per non disturbarli, ma uno di essi, alzando gli occhi, disse meravigliato che finalmente il prete straniero era arrivato.

Tutti mi si affollarono attorno e uno di essi tirò fuori la bottiglia di vino che avevano per l'occasione messo al fresco nell'acqua del torrente. L'etichetta, scritta in coreano, indicava che si trattava di “vino di Porto”, ma io sapevo che questo non significava assolutamente nulla: era sicuramente acqua con qualche polverina colorata, che con il vino di Porto non aveva alcun grado di parentela. Nonostante le mie insistenze, non riuscii a impedire che aprissero la bottiglia che era stata acquistata e portata lì proprio per il prete straniero (che evidentemente non gradiva il loro vino di riso) e non riuscii neppure a convincerli che non ero un prete. Dovetti sedermi, accettare più ciotole di questo vino, dimostrare che lo gradivo e poi ringraziarli con un discorso. Non potevo deluderli, poverini, erano così gentili e cortesi. Improvvisai un discorso augurando loro di vivere a lungo, di avere una vecchiaia felice, di poter vedere crescere i loro nipoti e i loro pronipoti, di non avere fastidi e tutte le belle cose che si possono dire per rendere felice un gruppo di simpaticissimi vecchietti mezzo brilli e rilassati.

Il rumore del torrente era abbastanza forte e gli studenti coreani che erano con me mi suggerivano le frasi. Superando il rumore dell'acqua, i vecchietti che erano più vicini a me riferivano agli altri quello che io dicevo, commentandolo e approvando, e tutti erano contenti. Un pomeriggio d'estate bellissimo. Dopo che ci fummo riposati e che i vecchietti ebbero assolto al loro dovere di offrirmi il vino, l'assemblea si sciolse e se ne andarono soddisfatti. Mi resterà sempre impressa nella mente la scena di questi nobili coreani che, nei loro vestiti bianchi, camminano in lunga fila, lontano, sugli argini delle risaie allontanandosi da noi per tornare alle loro case, chiacchierando fra loro nel silenzio dilatato del crepuscolo.
»


L'articolo


Si misura il contenuto alcoolico di un vino maturo

I

l vino sta gradualmente cominciando a essere apprezzato dai coreani a cui piace bere. Mentre vari vini di diverse nazioni del mondo vantano il proprio colore, la fragranza e il sapore, ultimamente anche il vino coreano Majuang è salito nei ranghi dei vini di qualità e molti lo conoscono. Con un bicchiere di “Majuang Special” l’autunno in Corea acquista maggiore fragranza.

Oggi la professione di sommelier non è più sconosciuta in Corea. Un giorno dopo l'altro sempre più persone, anche se non sono dei raffinati frequentatori di ristoranti, amano un pasto tranquillo con del vino servito in un affollato locale specializzato in pulgogi (carne di manzo alla brace). Un giro in Internet confermerà immediatamente questa tendenza. In qualunque sito di comunità, i club degli appassionati del vino sono molto attivi, e ci sono dei gruppi che hanno fino a 1700 membri. Fra gli yuppies delle grandi città ci sono alcuni che non solo hanno i migliori vini in commercio, ma che possiedono anche servizi di quelli che sono considerati i migliori bicchieri da vino, i Riedel. Questo non avviene solo a causa della curiosità o di una moda, ma perché essi comprendono che il bicchiere ha una sua influenza sul sapore del vino.

L'apprezzamento del vino da parte dei coreani iniziò con il marchio coreano Majuang. Commercializzato per la prima volta nel 1977, ben prima che il vino venisse liberamente importato, Majuang è stato il ponte che ha gradualmente introdotto i coreani nel mondo dei vini negli ultimi 25 anni. La maggior parte dei coreani si sono avvicinati al vino attraverso il Majuang. Il che significa che tutti hanno fatto l'esperienza di bere vino Majuang almeno una volta, a un appuntamento o a un party.

C'è una storia interessante dietro la nascita del Majuang. Ancora nei primi anni 1970, all'inizio dello sviluppo economico, la Corea soffriva per scarsità di cibo. La bevanda alcoolica più gradita dai coreani era allora il makkŏlli (막걸리), che veniva prodotto con riso fermentato. Il governo coreano giudicò che il consumo di riso poteva essere ridotto sostituendo il vino d'uva agli alcoolici esistenti, e così incoraggiò la coltivazione dell'uva. In quegli anni la ditta Doosan piantò un vigneto e cominciò a studiare come si produceva il vino.


Il vino Majuang viene usato per la messa nella cattedrale e nelle chiese cattoliche in Corea

All'inizio tutto fu difficile. Coltivare le viti da vino non era facile a causa delle differenti condizioni climatiche rispetto all'Europa,ed era anche difficile acquisire in breve tempo le conoscenze accumulate per secoli dagli occidentali. L'azienda Doosan fece ampie ricerche sulle tecniche della produzione del vino, mandando un gruppo di tecnici in alcune università europee e assoldando esperti locali, e nel giro di appena quattro anni fu in grado di presentare i primi vini, Majuang Special, rosso e bianco.

I primi ad assaggiare questi nuovi vini furono i preti stranieri e le suore delle parrocchie cattoliche coreane. Il presidente della repubblica, Park Chung Hee, che in quel periodo si interessava allo sviluppo dell'industria enologica, li invitò alla residenza presidenziale per un party con degustazione dei vini. La valutazione che ne diedero i preti e le suore fu che il bianco era di buona qualità, ma il rosso aveva ancora bisogno di migliorare in vari modi. Il motivo era chiaro: mentre il bianco non richiede un lungo periodo di invecchiamento, il vino rosso deve essere invecchiato a lungo per acquistare il suo bouquet caratteristico.

L'apprezzamento da parte dei media fu più favorevole. Nel 1978 il Washington Post pubblicava un articolo sul Majuang, dal titolo “Mistero dell'Oriente”. L'articolo era scritto da un giornalista che aveva accompagnato il presidente Jimmy Carter quando questi visitò la Corea: il giornalista aveva portato con sé negli Stati Uniti il vino come regalo e scrisse l'articolo dopo che alcuni esperti lo avevano assaggiato.

Non molto tempo dopo il Majuang cominciò a ricevere ampi riconoscimenti, tanto da essere dichiarato vino ufficiale per la messa nelle chiese cattoliche coreane, e fu usato come vino ufficiale della messa quando il papa Giovanni Paolo II visitò la Corea nel 1984. Dal 2001 questo vino viene usato nella comunione anche nelle chiese protestanti.


Vino che sta invecchiando nella fabbrica di Kyŏngsan

Dall'inizio degli anni 1990 il Majuang ha anche cominciato ad apparire ai pranzi degli ospiti di stato che visitavano la Corea. Per commemorare questa tradizione, a partire dal 1993 l'azienda produttrice ha anche tenuto ogni anno ad agosto una cerimonia, in ringraziamento per il primo raccolto delle uve e per pregare che si produca un buon vino. Dal momento che la qualità del vino Majuang migliorava di anno in anno, cominciò anche ad aumentare gradualmente il numero di coloro che lo apprezzavano. Il termine p'odoju (succo d'uva), che i coreani avevano usato per indicare il vino d'uva, divenne meno comune.

Anche la reazione del mercato coreano fu entusiasta: negli anni 1980 la percentuale dei vini Majuang venduti raggiunse il 70 per cento del mercato interno. Ora il rapporto è sceso al 40 per cento a causa della gran varietà di vini stranieri importati, ma facendo il confronto con vini che vantano una tradizione di centinaia d'anni, si può dire che il Majuang si sta difendendo bene.

Non è esagerato affermare che l'area di Kyŏngsan, dove si trova la fabbrica in cui si produce il Majuang, è il “Bordeaux” della Corea. La fabbrica di Kyŏngsan, che produce 5.700 chilolitri all'anno, sta ora producendo dieci varietà diverse di Majuang. Fra questi, il Majuang Special (bianco) e il Majuang Red (rosso) utilizzano uve coreane con mosto d'uva di importazione.

Vi sono anche un certo numero di buoni vini prodotti e venduti da Majuang nelle più famose regioni europee per la produzione di vino, come Medoc, Baujolais, Margaux e La Seine in Francia, Mosel e Rheine in Germania, Rioja in Spagna e Chianti Classico in Italia. Fra questi il Majuang Margaux e il Majuang Roja vengono classificati a livello internazionale da esperti mondiali di vini. Stanno anche introducendo attivamente nuovi prodotti. Un esempio ne è il Majuang Delicat Blanc, un vino dolce e generoso che include il salutare ingrediente polifenolo.


Nel locale Memories, gestito da una coppia tedesca, la lista dei vini è incredibile, quanto lo sono i piatti

L'azienda produttrice di questo marchio, che opportunamente rappresenta il vino coreano, si adopera anche a diffondere la cultura del vino. Per esempio, per i consumatori vi è un “Giro turistico dei vigneti di Kyŏngsan”. La cosa più interessante di questo giro turistico è il fatto che si può seguire il processo di produzione sul luogo, compresa la raccolta delle uve, la separazione del frutto, la pigiatura, la fermentazione e l'imbottigliamento.

Naturalmente, il party per l'assaggio dei vini rappresenta anch'esso un grande piacere. L'azienda produttrice ha ora aperto un suo sito Web all'indirizzo http://www.wine.co.kr, per espandere la comunità degli amanti del vino e offrire una varietà di informazioni. Vi sono molte notizie sulle qualità del vino, sulla vendemmia, sull'etichetta e sui ristoranti che offrono vino.

Oggi Majuang è in lotta con le principali marche mondiali, e questo perché vengono importati in Corea uno dopo l'altro vini da tutto il mondo, fra cui il Cile e altre nazioni sudamericane, l'Australia, per non parlare dell'Europa. Un concorrente particolarmente agguerrito è il Beaujolais Nouveau che viene venduto il terzo giovedì di novembre nei mercati vinicoli di tutto il mondo: nel 2001 in Corea se ne sono vendute 450.000 bottiglie.

Siccome questa è un'epoca senza confini nazionali, il Majuang non ha fatto appello al sentimento patriottico dei coreani per incrementare le vendite dei suoi prodotti, ma continua a difendere l'orgoglio della marca nazionale puntando semplicemente sul gusto. L'azienda si dice certa che il mercato del vino coreano crescerà vertiginosamente in futuro e, mentre questo potrebbe creare qualche difficoltà alla Majuang, rappresenta tuttavia una buona opportunità da non lasciarsi sfuggire.


Tratto da “Enjoying Majuang”, in Pictorial Korea, ottobre 2002. Testo originale di Kim In-gi, fotografie di Kwon Tae-kyun. Pubblicato con autorizzazione del Korea Information Service, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: Korea.net.

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© Valerio Anselmo